A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Negli scorsi due articoli abbiamo ripercorso rispettivamente la storia del borgo di Castellazzo e l’esame delle testimonianze tuttora presenti sulla riva ovest del Cavo Ticinello, che vi passa nel mezzo; ci accingiamo ora, per concludere la nostra visita, ad analizzare quanto rimane dall’altro lato del corso d’acqua.
Nella parte orientale del borgo si possono tuttora vedere due importanti testimonianze architettoniche dell’epoca rurale: la “casa del maniscalco” e la cappella della Vergine Addolorata.
Come si può immaginare, infatti, il Convento sorgeva allora in un luogo isolato e se da una parte coltivava la campagna per sostenersi, dall’altra aveva bisogno di una serie di “servizi”, tra cui quelli di fabbro e maniscalco, che venivano espletati per l’appunto nell’edificio sito al civico 15 di via Campazzino, e che da quattro generazioni è abitato dalla famiglia Bosatra, che ho citato nel primo articolo.
Dall’edificio prospicie sulla strada una bellissima cappellina quattrocentesca, le cui due colonne sono fatte in marmo di Candoglia, lo stesso usato per costruire il Duomo; per secoli ci è stata appesa una lampada in ferro battuto quattrocentesca, ahimè in seguito rubata e sostituita con un’altra sempre in ferro battuto e antica ma non medievale.
La cappella conteneva una tela, sostituita da un affresco dello stesso soggetto per evitare altri furti, che raffigura la Vergine Addolorata con un coltello conficcato nel petto; alle sue spalle è chiaramente visibile una fortezza, che si presuppone sia il Castello di Azzo, anche se non c’è conferma in proposito, e ha una scritta “Mater Dolorosa” al di sotto dell’immagine..
La cappella riveste notevole importanza storica poichè presso di essa venivano celebrate le festività, come risulta da una pergamena del luglio 1766 tuttora esistente; e ancora oggi, nella terza domenica di settembre, festa della Cappella, vi si recita il Santo Rosario, come da tradizione antichissima del borgo e come indicato sullo scorsonumero del giornale. A fianco della cappella è stata anche murata una lapide che ricorda la visita al Monastero del Cardinale Cesare Monti; questi, venuto a prendere possesso della Diocesi nel 1632, si soffermò per qualche tempo a Castellazzo per apprendere il rituale Ambrosiano.
Durante le ricorrenze religiose, folle di popolo vi affluivano per godere i benefici della bolla “Quia ratio exigit” con cui Sisto IV nel 1480 aveva accordato al convento tutte le indulgenze della Chiesa Cattolica.
Molto amato ed ivi venerato era anche Francesco Piccolpasso, bolognese di origine, ed Arcivescovo di Milano dal 1435 al 1443, che vi aveva soggiornato per ben quattordici mesi, presso i Frati Gerolamini, e che alla sua morte lasciò anche una traccia della sua permanenza a Castellazzo, documentata da 60 tra codici e manoscritti destinati al Capitolo Metropolitano (e che ora si trovano alla Biblioteca Ambrosiana). L’arcivescovo era molto amato dal popolo in quanto lo aveva sempre difeso dalla contorta politica del duca Filippo Maria Visconti.
Ulteriori testimoninanze del borgo e del convento sono l’altare maggiore e l’ancona, entrambi lignei, conservati nella cappella della Vergine all’interno della Chiesa dell’Assunta (al Vigentino, cui ho accennato qualche articolo fa) e i quattro busti d’argento ivi portati ma, ahimè, successivamente asportati da sconosciuti.
Viste le due parti del borgo, allora, occupiamoci infine del cavo Ticinello, che vi scorre placido in un’atmosfera bucolica e rasserenante: le due rive sono congiunte da un ponticello risalente al Quattrocento che recentemente è stato trasformato in ponte pedonale per evitare il transito (pure vietato) di camion nella stradina. Sporgendosi dalle spallette il panorama è bellissimo, perchè numerose arborescenze congiungono il cielo con l’acqua, e vi si specchiano; l’unico punto dolente sono le griglie apposte per motivi di sicurezza che mal si sposano con i paracarri quattrocenteschi (su uno di essi è riportata la scritta 1481) che delimitano il transito.
Solo poche centinaia di metri, di fatto, separano la via Antonini dal borgo di Castellazzo, ed il contrasto appare stridente; eppure anche sulla trafficata arteria cittadina, vicino al Cavo Ticinello, si trovano due interessanti testimonianze architettoniche: un piccolo ponticello e una graziosa casetta fluviale circondata dai salici, di cui parlerò semmai in altro articolo; non è semplice, ed anche Castellazzo ne è un esempio, scoprire le perle nascoste nella nostra Milano.